Highlander. “Ne rimarrà soltanto uno” (meglio, due).
La penultima tappa ci ha portato a 230 km dalla meta, sofferta, anelata. 500 chilometri sempre più aspri, in mezzo a contesti inenarrabili di evidente matrice artica: a ricordarlo 250 chilometri devastanti, percorsi nella bufera (nevischio a tratti) a mani e denti stretti, chilometri infiniti e morsi senza pensarci troppo. Automobilisti e camperisti sempre più rarefatti, motociclisti fratelli nell’evidente difficoltà condivisa e accomunati dal sogno, ormai a portata di mano.
L’abbigliamento odierno ricordava più l’ARMIR che il mototurismo, ma non si fanno sconti o concessioni trendy: bisogna sopravvivere. Non è un’iperbole ma la realtà del viaggio in moto in queste condizioni.
È diventato ormai un viaggio “spirituale”, nel quale devi confrontarti con i tuoi limiti e superarli metro dopo metro: non importa che sia un motore a spingerti, in sella ci sei tu, in ascolto della strada e dei tuoi pensieri. Catturali, stringili forte. Ti scalderanno.
A domani.