Ovviamente l’avevo letto in tempo reale e, superando l’emozione nel “sentire” scorrere le mille “emozioni” così ben descritte da Nicola, mi ero ripromesso di tornarci sopra. Certamente con minore efficacia lessicale, ma con identica intima intensità.
Ora lo faccio, premettendo una sottolineatura: i tantissimi che incontrati o solo contattati telefonicamente (avendoci seguito nel diario di viaggio, quotidianamente aggiornato da Nicola) si sono complimentati per l’impresa (in effetti tale è stata), hanno dichiarato di aver provato un sentimento di “sana invidia“. Ma, con un mio certo stupore (pensavo fosse cosa relegata esclusivamente al mio modo di essere e di sentire), non tanto per il viaggio in se’ (mito per ogni motociclista e non solo) ma per la composizione del drappello: padre e figlio.
Tanti miei coetanei mi hanno “invidiato” per questa avventura vissuta così in esclusiva con mio figlio; non pochi coetanei di Nicola mi hanno fatto capire quanto sarebbe piaciuto anche a loro poter annoverare una tale esperienza con il padre.
Io e Nicola ci siamo riusciti.
Ovviamente la fortuna e la affettuosa comprensione di chi ci sta accanto nella vita ci ha aiutati: senza queste due determinanti componenti non se ne sarebbe fatto nulla.
Ovviamente Nicola è stata la leva principale per consentirmi di realizzare un sogno che mi ha accompagnato per oltre mezzo secolo.
Ovviamente “quel che resta” assume tonalità diverse, ma, voglio credere, per certi versi significativamente omogenee.
Anche le mie riflessioni, ancorché di spettro limitato, andranno “in ordine sparso”.
È sacrosantamente vero quanto afferma Nicola: “ciò che poteva non essere ma è stato”. Quali “energie” lo hanno consentito? Senso di tignosa sfida alla sfiga? Orgogliosa e arrogante voglia di esorcizzare gli orizzonti cupi che sembravano profilarsi? Naturale propensione a ritenere gratificanti le strade buie e in salita piuttosto che quelle in dIscesa con sole splendente? Consapevolezza di dover cogliere “un tempo” che in futuro potrebbe non essere più concesso?
Direi un po’ di tutto questo, ma è il risultato che merita maggiore attenzione.
Il viaggio (questo viaggio, nelle specifiche e particolari condizioni psicologiche per i vari accadimenti degli ultimi anni) come metafora della vita? Niente di più vero: occasione irripetibile di una sorta di “passaggio di testimone”. Non che io abbia “chiuso”, di certo non è il mio modo di sentire quando mi sveglio ogni mattina, ma un momento indicativo che i ruoli si sono “mescolati”, in qualche occasione addirittura invertiti.
Il padre che da “grande cervo” (figura evocata nel bellissimo libro di Massimo Fini: “Ragazzo-Storia di una vecchiaia) in certi momenti si ritrova nei panni di “Bambi”; e viceversa per il figlio.
Per la prima volta ho percepito questa “evoluzione” che non mi ha certo rattristato, ma mi ha arricchito facendomi leggere da vicino, quasi toccare, il vero senso dell’esistenza.
Suggerisco a ogni padre e a ogni figlio, nel momento giusto della vita, cogliendolo prima che passi, di concedersi il privilegio di un “viaggio” analogo.
Adalberto Gambetti
3 settembre 2016