9750 chilometri in 18 giorni, attraverso 7 paesi; padre e figlio, 115 anni abbondanti in due; ognuno a cavallo di una moto BMW non recentissima, 29 anni complessivi di affascinante, irresistibile, vetusta ma affidabile meccanica bavarese. Un viaggio, il viaggio, attraverso Italia, Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia, sino ai confini settentrionali dell’Europa, rappresenta un carosello di esperienze straordinarie affrontate in strettissima e caotica sequenza.
Una volta sedimentato lo stress e dissipata la stanchezza fisica, cosa rimane del vissuto? Cosa rimarrà per sempre nella nostra memoria?
In ordine sparso.
Il sollievo. Dal maggio 2014 al marzo 2016, passando per il febbraio 2015, un viaggio – peraltro di questa portata – non solo era improponibile, ma addirittura impossibile anche solo da prospettare. Un brutto incidente da una parte e una serie di nefaste diagnosi (nonché soluzioni rivelatesi purtroppo provvisorie, in un primo tempo) dall’altra avevano relegato qualsiasi progetto a sogno proibito da sigillare in quel cassetto che non sarebbe mai più stato aperto. La certezza del mai ha lasciato totalmente il campo a un senso di liberatorio sollievo che ha, quindi, ampiamente permeato ogni istante di questa esperienza, emarginando le sensazioni negative, le oppressioni e le paure di un tempo a un passato non troppo lontano… capace, quindi, di sprigionare ancora, guardandosi indietro, qualche brivido malcelato su ciò che poteva non essere ma è stato. Ed è stato.
La tensione. Una tappa dietro l’altra, quattromilaseicento chilometri verticali, dal clima torrido mediterraneo al rigore subpolare. Viaggiare per ore interminabili nel sole a picco e, più o meno improvvisamente, dover fronteggiare nevischio, grandine, pioggia e vento per giorni interi; le mani che tremano e non riescono a stringere le manopole, il senso di gelo progressivo che ti permea le ossa, brividi terrificanti che ti scuotono e il terrore del prossimo, conseguente malessere immobilizzante; un meteo impietoso che decide il verso della tappa successiva, arbitro inappellabile della tollerabilità del passo da compiere o del reale spessore della nostra tenacia. Ascoltare i suoni meccanici con un pizzico di timore, scariche elettriche e cupe prospettive ad ogni rumore o tintinnìo anomalo. Un viaggio di questo tipo richiede anche assuefazione e una dose di nervi saldi.
La soddisfazione. Oltre il Circolo Polare la rarefazione dei visitatori è progressiva, presto si capisce il motivo. Se spingersi al 71° parallelo è impegnativo all’interno di un abitacolo, viaggiare esposti alle intemperie sin lassù è vera “roba da duri”. Non siamo tra i tanti venuti a mangiare le tagliatelle con la tutina di cellophane nel bauletto: lo si comprende osservando le rare motociclette (nel parcheggio di Capo Nord saranno state una trentina, da tutta Europa) e affrontando fisicamente una giornata qualsiasi di latitudini severe: le condizioni climatiche possono rivelarsi proibitive già dietro una curva e, nel giro di pochi minuti, la nebbia fitta può tramutarsi in nevischio, in vento insostenibile o in rovesci dolenti, da affrontare con piglio, determinazione e senza pensarci troppo.
Ma ogni lunga attesa, ogni sforzo, ogni pesante passo verso l’ambita meta non risulterà vano.
Il sole di mezzanotte. Quando hai esaurito le energie e hai raggiunto l’agognata meta, cala inevitabilmente la tensione e stai lì a godertela per qualche ora, comodo-comodo; osservi ripetutamente l’orizzonte definitivo… oltre il quale non è più Europa, solo confini del mondo. Ricordi il passato, rivivi i brividi, pensi a coloro che sono a casa, alla fatica fatta guadagnando ogni singolo chilometro a testa bassa, affrontando gli elementi e la distanza, alla destinazione epica. E così passano le ore, il maltempo non accenna a diminuire e tu pensi che, in fondo, gli eventi naturali da auspicare, da osservare, rappresentano solo il pretesto per un viaggio che contiene molti significati. E il pomeriggio se ne va, con quella luce nordica così ambigua e assediante che perdi il senso del tempo e della scansione diurna mediterranea.
Mangi qualcosa, conosci qualche viaggiatore, acquisti un ricordo, scrivi quella cartolina. E ti rimetti lì, mentre un insignificante squarcio tra le nubi dell’orizzonte, quasi una lama turchina, lascia penetrare qualche raggio di luce. Sono passate le 22:30, la luce progressivamente aumenta… e, improvvisamente, le poche centinaia di persone presenti ammutoliscono. Davanti ai tuoi occhi si presenta, quasi a tradimento, un tramonto ai confini del misticismo per qualsiasi agnostico: il “sole di mezzanotte” è realmente un’esperienza spirituale. Sai già che quell’immagine non se ne andrà mai più, che ora tutto ha un senso.
Il rigore nordico. La leggendaria socialdemocrazia scandinava ha sì creato un contesto esemplare di stato sociale, senso civico, sviluppo tecnologico e investimento infrastrutturale… ma a scapito di una relazione interpersonale paragonabile a un collegamento Bluetooth (non a caso inventato dalla svedese Ericsson). Popoli nordici – svedesi, norvegesi e finlandesi – ugualmente incarogniti verso il prossimo, ai quali basta un saluto cordiale mattutino per stupirli e mandarli nel panico, che ti investono fisicamente sulla soglia dei locali o in qualsiasi fila senza accennare a un grugnito di scuse o di richiesta, che iniziano a ringhiare a distanza se notano che ti sei seduto su un sedile sbagliato o sulla parte di panchina riservata a qualsiasi altra categoria.
Attendiamo con estrema curiosità l’uscita del documentario “La teoria svedese dell’amore” di Erik Gandini, presto al cinema, per avere la conferma di una sensazione già ampiamente percepita vivendo la Scandinavia come turisti per qualche settimana: il popolo nordico è profondamente frustrato, incapace di generare e stabilire qualsiasi re[l]azione elementare con il prossimo, affettivamente castrato e spersonalizzato ai confini dell’alienazione collettiva. Un incubo antropologico.
Enogastronomia scandinava. Non pervenuta.
Uno va allo shop IKEA, si guarda intorno e pensa che, come tutti i negozi della grande distribuzione, venga offerta una piccola selezione del “patrimonio” culinario del Paese di origine. E invece l’offerta della ristorazione in loco è ben più misera e austera: alce, renna, polpette, stoccafisso e l’onnipresente salmone rappresentano l’asse portante di piatti sempre uguali. Commento dal punto di vista del romagnolo medio un po’ lovvo? Asfissiante.
All’alcool ci siamo avvicinati raramente, poiché accise e politica sul consumo rendono l’acquisto quasi proibitivo (per capirci: birra da 0,26 6,50 Euro, media circa 13 Euro, 0,75 verso i 30. Meglio nei supermarket e in Svezia rispetto alla Norvegia, pochi i prodotti autoctoni degni di nota, comunque).
Fiat lux. Sole, sempre sole. Luce sempre e comunque.
Dalla Germania settentrionale in su ci si tuffa nell’orgia diurna. Apri l’occhietto alle 3:00 “di notte” e ti sembra di essere al chiringuito del 26 a Ferragosto. Il sole è sempre lì, magari dietro alle nuvole, ma si vede, soccia se si vede!?! Tendine da doccia e venezianine non aiutano: ti devi bardare con la mascherona, ma basta un movimento non in asse e uno squarcio notturno degno di Giorgione ti martella la retina. Anche questo è un elemento di consunzione progressiva generalmente sottovalutato, ma che a lungo andare ti ribalta la prospettiva quotidiana…
Qui si interrompe, almeno momentaneamente, il nostro diario di viaggio.
Spero, speriamo di non avervi tediato e ringraziamo di nuovo tutti gli amici – vecchi e nuovi – che hanno seguito con reale passione e interesse la nostra piccola/grande avventura, offrendoci giorno per giorno comprensione, condivisione e calore “virtuale”.
Vorremmo concludere questo lungo racconto con le stesse parole con le quali abbiamo inaugurato inizialmente questa pagina, tratte dal diario di viaggio dell’esploratore ravennate Francesco Negri che, nel 1663, raggiunse per primo Capo Nord:
Qui, dove il mondo sembra finire, ha termine anche la mia curiosità: ora posso tornare a casa soddisfatto.
[Nicola & Adalberto]